Testi Critici

ALBERO. L’esplosione lentissima di un seme. (Bruno Munari)


Non c’è tempo. Il tempo è finito. Chi si ferma più a guardare il contorno di una foglia, il colore e le nervature? Sembra che nessun rallentamento sia possibile nella folle cerebralità umana. Eppure Joseph Beuys aveva ammonito: allineiamo la nostra intelligenza a quella della natura, subito.

L’artista, teorico e attivista del movimento dei Verdi in Germania, non ha mai smesso di affermare la forza creativa e l’intelligenza di ogni forma di vita sul pianeta: dalla rosa all’organizzazione delle api, dal popolo minerale, all’olio, a tutto il regno vegetale. Il suo obiettivo pedagogico era portare consapevolezza agli esseri umani, affinché potessero riconquistare la propria unità antropologica e planetaria. Un’unità che Barbara Nicoli ricerca con un’attenzione ossessiva rivolta ai mondi vivi che la circondano. Attiva nella performance e nel teatro, oltre che nell’incisione e nella sperimentazione pittorico/scultorea, l’artista lavora sul tempo lungo. Elabora il dettaglio e trascrive visivamente la poesia del vegetale. I suoi ready-made sono di autentica fattura naturale: foglie, rametti, terra, fiori, legni. Di ogni forma percepisce l’energia e la creatività biologica. La foglia, soggetto delle incisioni su carte preziose, è l’elemento costante di una ricerca di intenso dialogo con il regno vegetale. Immobilità e movimento coesistono nella stessa opera e non sono in contraddizione. Diversamente dalla fissità delle tavole botaniche settecentesche, dall’intento scientifico e archivistico, Nicoli mantiene, del vegetale, la vitalità originaria, l’organicità e il panorama interiore. Ogni singola foglia è una short-story (allungata, simmetrica, strappata, aghiforme) che nessuno - nel razionale procedere della vita - si sognerebbe mai di leggere. Per quell’indifferenza all’ambiente che ci ha portati ad avvelenare il nostro stesso cibo. “La questione dell’agricoltura – affermò Beuys - appare, in fondo, come una questione religiosa, perché se noi ampliamo lo sguardo vediamo anche le finalità invisibili della pianta, il suo essere messa all’interno di tutto l’universo che la avvolge a livello cosmico. Solo allora l’uomo vedrà che questo è il suo unico sistema di alimentazione. Solo allora si accorgerà che il concime dipende in ultima analisi dalle stelle e dunque da una grandezza immateriale”.

Esistono anime, quelle degli artisti e dei poeti, che non possono allontanarsi dagli alberi, perché sanno di essere albero oltreché sasso e animale, e non staccherebbero mai una parte di se stessi (il proprio braccio) per correre verso i mondi illusori della materialità priva di spiritualità. La scissione materia/spirito è l’origine di ogni catastrofe autoprodotta. L’arte ricompone, riplasma e ricrea l’infranto. La crisi – diventata dimensione permanente della vita occidentale – può essere, come affermava Einstein, una grande opportunità però: “non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose”, diceva. L’arte sposta i punti di vista, instilla possibilità creative alternative alla meccanicità del sistema di produzione e accumulo. I land-artisti americani si rapportavano alla grande dimensione della terra, dei laghi ghiacciati, del deserto, imprimendo il proprio segno umano nella continuità del territorio; Mario Merz assemblava legno e materie prime per dare forma all’energia. Beuys piantò settemila querce a Kassel. Ana Mendieta, nella distesa di territori incontaminati, riproduceva la siluette della Dea Madre sporcandosi di fango, ricoprendosi di erba o incendiandone la forma. Nicoli si colloca nello stesso solco di chi ha voluto celebrare e innalzare la forza creativa del mondo vegetale cercando di aprire un varco verso la responsabilità sociale dell’arte. Nel suo fare femminile, silenzioso e conventuale, attento a narrare il dettaglio, Nicoli non propone fisicamente la foglia, ma la incide su lastra creandone la traccia, poi interviene manualmente per espanderne l’energia o farla implodere.

Il procedere del suo lavoro avviene per cicli, così come ciclica è la natura. La foglia rappresentata non è sempre innocua, bella e vitale, può improvvisamente diventare inquietante o drammatica. L’immagine restituita racchiude il bene e il male, la poesia e la distruzione, la vita e la morte, ma è sempre regale. Nel ciclo Impronte digitali vi è la sovrapposizione di una mano alla foglia. L’idea dell’incontro dei due regni, che permette la lettura dei solchi umani e delle nervature vegetali, è struggente e allarmante al contempo, perché i polpastrelli – che fanno il paio con l’anatomia vegetale – sembrano da un lato unirsi michelangiolescamente al Divino, e dall’altro sporcarne il disegno. Delle due impronte è difficile dire quale sia la più vulnerabile. Quella umana, forse.

Nel ciclo Espansioni, la foglia e il ramo di pino sono al centro di un’energia che si sprigiona dall’interno per espandersi ovunque. Vi è un’intricatissima selva di lenee che si dipartono, con precisione dalle nervature, per invadere lo spazio bianco del foglio. Ne risulta una pulsione vitale nitida e festosa. In alcuni casi tempestosa. Espansioni è un processo di svelamento dell’invisibile. E’ una lettura del segno che parte dalle traiettorie della linfa per espandersi nell’ambiente. L’opera contiene l’immobilità della pianta radicata al suolo e l’intensa attività motoria del processo di fotosintesi. L’artista mostra quelle “finalità invisibili della pianta” delle quali parla Beuys, evocandone la potenza espansiva. Attraverso gesti decisi, quotidiani, ripetuti, riduce la distanza tra l’uomo e la natura rivelandone la bellezza e la fragilità. L’atto di raccogliere le foglie, inciderle, tracciarle, è un percorso di conoscenza di sé. “Sin dalla prima foglia che ho inciso – afferma l’artista – mi è nata la voglia di sapere come si sarebbero comportate in relazione a ciò che facevo. Guardo le foglie in funzione di quello che potrebbero essere”. Le Espansioni mostrano i mondi sottili, l’energia propria di ogni corpo, il modo in cui la forma si rapporta allo spazio. Anche il ciclo Intarsi ripercorre le venature. Ma le linee non sono solo incise, sono ricamate, accentuate dal filo che crea rilievo e accenna alla tridimensione. Le traiettorie principali escono, come in Espansioni, dal perimetro della foglia, ma le foglie non sono intatte, sono strappate. L’artista compie un gesto arbitrario che ne cambia la configurazione, togliendone l’integrità. Il suo intento è di studiare il comportamento dell’espansione dell’energia del vegetale in assenza di una parte che ne definirebbe la traiettoria. Il risultato è un’imprevedibile allargamento dello spazio d’azione: una conquista da parte della foglia.

Nicoli ri-natura la natura. Con la pazienza laboriosa del cucito ripercorre le venature con il filo per ricrearne la tattilità e poi staccarsi dal tracciato predefinito per rilasciarne l’energia. Il cucito è oggi una pratica di liberazione e ricerca: l’uscita dal domestico e l’ingresso nel mondo. Il mondo che – nel ciclo Scomposizioni - divide le superfici delle foglie con spazi bianchi geometrici impressi sul foglio. Il segno forte di separazione delle parti del vegetale ne modifica la percezione. “Le foglie – afferma l’artista - non sono semplicemente divise in parti e messe nello spazio, la porzione è rimossa ma non è negata, è restaurata dallo spazio vuoto della foglia. L’immagine può essere percepita nel suo intero solo vedendo la parte mancante”. Anche in questo caso Nicoli agisce arbitrariamente per deprivare la foglia. L’intento è speculativo, è quello dell’artista che tenta di relazionarsi a un mondo percepito come vivo ma ancora indecifrabile. La sfida è vinta dal vegetale che, nonostante l’intervento razionale sull’organico, non perde la propria identità d’insieme.

La ripetizione del soggetto è costantemente variata dalle modalità di rappresentazione e dalla volontà di ricreare una natura personale umanizzata. E’ così che Nicoli compie una sorta di ricreazione nel ciclo Artifici, la serie più organica e viscerale. Qui l’artista, come un chirurgo, seziona i fiori per analizzare il colore della linfa che mai corrisponde al colore esterno del vegetale. Appropriatasi di varie tipologie arboree, ha ricreato – con l’inchiostro – quelle tonalità che non corrispondono al colore dei petali. Tenui e fluidi i rametti non sono motivi floreali rassicuranti, al contrario creano allarme. I contorni non sono definiti. Anche in questo caso il vegetale si espande, ma è un’espansione che macchia, che crea ombre inquiete non corrispondenti alla forma. Nella fuoriuscita della linfa vi è un senso di decadenza, di poesia crepuscolare. E’ il teatro delle foglie e dei fiori che danzano di fronte all’arte. Goethe scriveva: “Colui al quale la natura comincia a svelare il suo segreto manifesto, sente irresistibile nostalgia per la più degna interprete di essa, l’arte”. Sarà coniugando le esperienze: scientifica (catalogare) artistica (liberare) politica (normare) e spirituale (comprendere) che si potrà generare una consapevolezza collettiva atta a diventare la più importante conquista dell’umanità.

Manuela Gandini

‘Nature, Interrupted’
25-30 September 2014
Hong Kong Arts Centre



Barbara Nicoli’s practice finds its poetic force in an assiduous and intense confrontation with what surrounds us. In her work, nature is not an abstract totality opposing the privileged distance of the artist acting upon it, but the physical dynamism and vital force that inhabit all things, and the artist herself, as their own secret.

As part of the exhibition Nature, Interrupted, on view at Hong Kong Art Centre from September the 25th to the 30th, Italian artist Barbara Nicoli explores our relation with Nature in five different series of works that all embody the artist’s dialogue with her surroundings. Her approach is not speculative, though the intention is that of a researcher that carefully selects and interrogates the empirical evidence.

Combining the slowness of traditional techniques such as intaglio printing with the sensorial intensity of performance art, Nicoli plays with different perceptions opened up by the shapes and colours of living organisms like branches, flowers and leaves, and establish with them a silent and intimate dialogue. The body and its performativity are the tools used by Nicoli to listen to what nature has to say, inhabiting with her gestures the void left open by the multifaceted veins of a leaf or by the delicate fragments of limbs and flowers.

Favoured by her past experience as performer, and of her studies as art historian, Nicoli comes to visual art as a result of her insatiable thirst for knowledge, and of her keen awareness of our contemporary incapacity to structure any perception of reality into a logic syllogism. She approaches nature phenomenologically, questioning how things came to be the way they are, and blurring the lines between their physical consistency and our interpretation of them.

The painstakingly textured shapes composing the series Artifici (2014) are inspired by what found in the environment surrounding the artist’s home in the Italian countryside. Both colours and shapes come from suggestions offered by nature itself, and then impressed onto the paper with a metal spike and colour ink. Through a physical intervention on found flowers, the artist deploys the same colours hidden in the petals and stigmas of these flowers to artificially re-create their natural shapes, literally turning their essence inside out and casting it onto the paper.

This series is delicate and nostalgic at the same time. The memory of this encounter with dead leaves or once luxuriant plants is fragmented in the thousands of little marks composing these drawings, a technique that comes from the ancient art of engraving. Nevertheless, their identity is not reproduced, but only suggested through the myriads of shades composing the different colours of these marks. The artist’s intervention is not meant to replicate nature, rather to unveil what may be perceived, but that remains hidden at our sight.

The same process of making is turned outside down in Espansioni (2014), the second series of Nicoli’s new works on view in Hong Kong. Here, the natural element –mainly trees’ leaves- has been first impressed onto the paper, then reconfigured by the artist to manipulate and reshape the human perception of it. Scrupulously, the artist analyses what is already contained within the leaf itself, marking its veins and ribs and expanding them beyond the leaf’s borders to invade the whole pictorial surface.

In her effort to listen to nature, Nicoli does not invent, nor add anything to the several forms through which nature manifests itself. Though the intervention is arbitrary, the result is not abstract, as the uniqueness of her approach lies in its sacral respect of the shapes and directions already manifested in the natural object. She follows its shapes and search for their inner colours, gently modulating her gestures on the surface and upon the object to intuitively actualize what is potentially already in there.

Such an epistemological journey at the very end of perception leads the artist to discover the essence of things not only in what is hidden, but also in what is absent. In Scomposizioni (2014), the leaves have been impressed onto the paper not to invade its surface, as in a spatial explosion of their lifeblood, but have been isolated and deprived by some parts that are still perceptible in the empty space they have left on the paper.

Inspired by the ancient technique of intaglio printing, this series of works combines the meticulousness and slowness of encaustic painterly processes with a more contemporary sensitivity towards nature that here appears in its troubling isolation, and incessant caducity. The identity of things, as the identity of the man who needs to question the world in order to make sense of his existence, lies also in this lack of being, in this being a totality that does not result by the sum of its parts.

This dialogue with natural entities becomes even more personal in Impronte Vegetali (2014). Through the overlay of leaves’ veins and ribs with human fingerprints, Nicoli gives visual manifestation to its query towards existence and its elusive meaning, showing how such different domains of the natural world –the animal and vegetable kingdoms- actually belong to the same inexplicable mystery.

These works on paper are not limited to the reproduction of the inner structures of the leaf, and of the human hands acting upon it. The intention behind them is to visually suggest the similarity of the two different ‘natures’ by letting them melt together in the opaque flatness of a print. Shining light upon the most intimate parts of the leaf and their affinity with the impressions of humans’ personal identity, the series Impronte Vegetali stimulates a tactile understanding of our relation with nature, as well as the necessity to understand ourselves as part of it.

The complex identity of the leaf becomes materially dense, and the dance of the artist’s hand on the paper takes the tangible consistency of a cotton thread in Intarsi (2014). Details of the inner structure of the leaf cast on the paper are extended till the very end of the paper, suggesting a relentless movement of its lifeblood to an infinity we cannot see.

The yellowed familiarity of this series speaks of our relation with nature by letting arise on the paper the complex circuit of relations that constitutes our being-in-the-world, in Heidegger’s words. Orchestrated with a wise use of different materials, the work is an invitation to inhabit nature differently, to question our being in the world and the sense of everything by experiencing, and literally touching what connects us to such everything.

In Nicoli’s ouvre, the artistic gesture actualises the intimate conquer of a new consciousness, of a different perspectives on our being-in-the-world, given by our being-within-the-world. The slow time of intaglio printing, and the meticulousness of her performative approach to the natural object addresses nature as our most intimate dimension, a kind of secret we probably forgot, but still silently share with all things and beings.

Such a sensorial play enlivens all the works of Barbara Nicoli presented at Hong Kong Art Centre. The hyper-textured, yet extremely gentle approach to nature perfectly embodies the artist’s intimate research on the meaning of existence. Tacitly, and humbly following what nature has to say, the sharpness of her metal spike and of her needle on the object cast on paper weakens the scream of the primordial question of the meaning of Being. It softens it by making visible the dynamism of a communal fate of finitude.


Vanessa Saraceno

L’opera di Barbara Nicoli, giovane artista poliedrica, si alimenta di diverse discipline artistiche: transita dall’arte performativa, al teatro, dalle arti del movimento, alla pittura e all’incisione calcografica. Dopo la formazione universitaria, Barbara intraprende un suo personale percorso artistico, che và via via ramificandosi proprio come i rami degli alberi, riferimenti assoluti, consci o inconsci, del suo lavoro artistico.

La sua opera si articola intorno a sei temi portanti: ritmo, visione, tatto, emozioni, memoria e compressioni. Sei rami di un grande albero, all’interno del quale fluisce la linfa: il pensiero da cui scaturisce armonicamente l’intera opera dell’artista. Sin dagli esordi Barbara ha rispecchiato il proprio fare e la propria poetica in un dialogo intimo e identificativo con la natura, vissuta e assunta non tanto in chiave simbolica ma piuttosto come riferimento concreto e pulsante da interrogare, interpretare, elaborare, usare come materia viva, da riportare alle origini della nostra esistenza e, contemporaneamente, da ri-creare, ri-definire e re-inventare.

La sua ricerca non punta a catalogare le forme e i misteri della natura, al contrario mira ad entrarne in profondità, a vivisezionarla, a lacerarla, a frammentarla. Mediante punte di metallo e materie da manipolare o da plasmare, ricrea e reinterpreta il mistero dell’esistenza e del suo significato inafferrabile. Non a caso il suo pensiero si organizza in cicli, quasi a sottolineare la sintonia con un processo, che individua proprio nel ciclo della natura, un respiro comune.

La tensione a penetrare tale mistero - come insegna Giordano Bruno - è tensione di conoscenza del divino, che non può essere ridotta a mera speculazione intellettuale, ma trova una forma altrettanto profonda di conoscenza nella sfera delle emozioni e degli stimoli sensoriali.

Potremmo dire che Barbara individua proprio nel corpo e nelle sue emozioni il veicolo principale di comprensione e conoscenza della realtà, esasperando il profondo e ineliminabile vincolo che ci tiene legati ai dati sensoriali e alle forme dotate di significato.

Da questa consapevolezza si muove per andare, coerentemente con il suo pensiero, oltre la percezione, e attraverso un atto radicale ingloba la natura fin nel profondo di se stessa, divenendone parte integrante in un doppio ritmo: un flusso nel flusso.

Ciò che scatena il suo processo creativo è la profonda consapevolezza della centralità, nel bene e nel male, dell’essere umano. La sua non è mai una posizione critica, ma piuttosto fenomenologica. Una tensione questa, che la spinge ad andare al di là del piano simbolico, assumendo su di sé il delicato compito di non cadere nella percezione falsata della realtà, o peggio ancora della illusoria visione di essere un unico corpo con la natura. La sua ricerca va oltre la forma conosciuta: nonostante non abbandoni mai la relazione uomo/natura, concentra la sua visione proprio in questo spazio di mezzo, come nell’istallazione Foglie d’albero (2012), dove riproduce serialmente le foglie di un albero che poi ricompone in una nuova struttura ramificata, liberata e inedita. In quest’azione non è contemplato lo scambio tra soggetto e oggetto, si tratta piuttosto di un atto estetico di grande intensità emotiva che ci conduce al nucleo poetico della sua opera: la ricerca di una relazione/scambio sullo stesso piano di valori, in una sorta di grado zero della relazione tra soggetto e oggetto. La sua opera nell’articolata visione d’insieme, ci rimanda a una sorta di grande unico tronco che si ramifica in sei rami: ognuno dei quali ci consente di cogliere molte combinazioni e variazioni di segni. Ogni ramo è come una sorta di flusso portante di uno specifico tema.

Tutto inizia dal ritmo, un ritmo interiore, una sorta di fibrillazione quasi impercettibile della materia, che rende pulsante ogni cosa: dai muri che stratificano la memoria dell’uomo, ai fossili, dal vibrare dei rami alle impronte che le foglie lasciano della loro esistenza passata. Barbara rende visibile il ritmo del vento tra le foglie, crea suoni simili a strumenti a fiato che il vento porta tra le fronde degli alberi, crea ritmi fatti dal respiro della natura che si fa sinfonia.

Dal ciclo Artifici (2013-14) emerge in modo emblematico il tema della visione: si tratta di una serie di opere su carta che catturano magneticamente lo sguardo. Opere essenziali, minuziose rielaborazioni di frammenti di alberi, fiori e piante che restituiscono all’osservatore l’idea di una natura conosciuta ma che, ad un’attenta osservazione, risulta essere un artificio. Un gioco visionario dove rispecchiamento e visione non sono più principi contrapposti.

Efficace anche il ciclo di lavori Fossili (2012-14): mappe sensibili, paesaggi cristallizzati, che rivivono sulla carta, la forma perduta. La natura come fossilizzata, restituisce traccia del suo passaggio. L’uomo entra in comunicazione con il mondo che lo circonda, e lo fa attraverso il tatto: un con-tatto come collegamento, conoscenza, comprensione, percezione della pericolosità o famigliarità della natura. Ma con-tatto è inteso anche come strumento potente di dialogo e comunicazione con il mondo. In questo contenitore generale possiamo inserire tutte quelle opere che implicano tracce, calchi e impronte, come nella serie di lavori dal titolo Impronte (2014) dove l’artista svela la pelle di vegetali come se svelasse la propria.

Proseguendo lungo le direzioni parallele dei rami che si biforcano, giungiamo al nucleo profondo del lavoro di Barbara: le emozioni, un tentativo di creare un rapporto empatico con la natura per penetrarla, e farsi penetrare. L’artista seziona foglie, fiori, rami, nel tentativo di giungere fino al nucleo più profondo, in un’affannosa ricerca di accordo, di realtà, di onestà, di sincerità, che non potranno mai emergere, ma al massimo essere evocate attraverso le emozioni.

Opere in cui tagli e lacerazioni si sovrappongono a forme della natura, rivelano un contenuto di emozioni violente e laceranti, come nel ciclo: Scomposizioni (2012-13) e Tagli(2013). Opere incisive che rimandano a primordiali e istintivi scontri dell’uomo con il proprio ambiente naturale e con l’idea stessa di continuità. Una sfida con un grande contenuto emozionale che si declina in opere come Espansioni (2013) che suggeriscono spinte di crescita verso direzioni inconsuete ma già contenute “intuitivamente” nella stessa forma naturale. La memoria è la dimensione che collega l’uomo al trascorrere degli eventi. Essa induce alla distinzione tra passato e futuro ed è parte integrante della consapevolezza che il soggetto ha di sé e del mondo esterno con cui entra in relazione. Per Barbara la memoria è parte integrante dell’identità e delle attività interiori, e quindi non è solo attività cerebrale, ma si iscrive nelle più profonde percezioni che accompagnano ogni forma di vita. Emblematici sono i lavori come Superfici (2001-09) che stratificano la memoria e l’esperienza dell’uomo, e Fossili (2012-14): opere che ci collegano al passato e che, come impronte indelebili della mente, ci rimandano al futuro. In questi cicli il tempo diviene memoria pulsante che vive nel DNA della materia sia vegetale che minerale.

Barbara attinge al mondo che la circonda: intonaco di muri, frammenti di rami, foglie, e li ri-produce comprimendo lo spazio, il tempo, la dimensione, e perfino l’essenza umana. Quando genera queste compressioni lo fa creando delle figurazioni del linguaggio umano, elaborando un articolato sistema di segni e suoni da integrare e inglobare nella complessità del mondo, per poter, ancora una volta, instaurare un intenso dialogo con la natura.


Franco Brambilla

Il rapporto uomo-natura è il tema della performance Foglie d’Albero presentata dall’artista reggiana BARBARA NICOLI  all’interno della sua installazione presentata alla Biennale del Disegno di Rimini nell’Ala Nuova del Museo della Città (a cura di Annamaria Bernucci).

Tema centrale dell’installazione è la ri-creazione dell’Albero secondo la visione dell’artista, e il dialogo che si viene a creare tra esso e i quattro elementi. Terra, acqua, aria e fuoco sono fisicamente parte dell’opera e con essi Barbara Nicoli interagisce in questa performance dove l’atto creativo dell’artista diventa simbolicamente il frutto dell’unione tra uomo e natura. La voce dell’albero prende forma attraverso la parola poetica che è parte integrante dell’opera con il poema di Franco Brambilla composto per questa installazione.

Senza eccezione le forme della natura sono disegni. Sono disegni le foglie e gli alberi. Gesti e azioni creative si innestano nella realtà fisica della natura e aprono la strada ad uno slancio immaginativo e simbolico. L'azione performativa di Barbara Niccoli trasforma in un ideale proscenio il luogo abitato dall'albero e dalle sue appendici: la luce li attraversa, corpuscolare e dardeggiante. Rivela il mistero della vita, lo scorrere delle stagioni, i cambi ciclici che li rivestono e li denudano, la carica biologica e vitale che li lega all'acqua, alla terra, all'aria, agli elementi. L'albero e le foglie sono segni e sono gesti, natura sotto forma di energia e materia, proiezione di biochimica e vibrazioni che arrivano al corpo umano in uno scambio antico e fisiologico, come una avvolgente appendice dinamica capace di trasmettere energie spirituali.

Inserendosi nel solco delle ricerche che dall’arte povera, alla land art, giungono alla performing art, e agli orti urbani dei collettivi artistici, Nicoli, aggiunge una visione minimalista, antica e meditativa, degli elementi naturali, facendo danzare le foglie nel teatro contemporaneo dell’arte. La forma che Barbara cattura è segno e significato, espressione di un linguaggio che, come direbbe Joseph Beuys, il popolo vegetale trasmette al popolo umano ma anche animale e minerale. Un incontrovertibile appello alla vita.


Annamaria Bernucci